Accademia di Belle Arti di Napoli (ABANA)
Il Professor Pasquale Pennacchio presenta gli studenti:
Stefania Ciocca

15. Simulacrum
Le formiche sono per eccellenza la rappresentazione della società perfetta, non esiste una formica senza un formicaio, attuano un modello di società a cui l’uomo può aspirare ma mai raggiungere.
Eppure a questi fantomatici insetti basta allontanarsi dal gruppo principale, trovarsi davanti alla morte di uno dei loro punti di riferimento, o una situazione di squilibrio per mettere in piedi la rappresentazione più incalzante dell’idolatria, la spirale della morte, pur di non convivere con la mancanza di certezze, iniziano questa folle ricerca di un falso Dio.
Cosi anche l’uomo non fa che condannare l’idolatria e la figura dell’idolo. Eppure, ne fabbrica continuamente di nuovi e ad essi, fatalmente, si consegna.
L’idolo nasce per trovare un punto d’appoggio alla propria inquietudine esistenziale, di soggetto. È una scappatoia di fronte al buco, allo scarto, all’inquietudine umana.
L’uomo si consegna all’idolo il quale si presenta come un qualcosa in grado di garantirgli una consistenza, un senso, un compattamento esistenziale. Quando si raggiunge la fittizia gratificazione, trova quiete per un po’. Alla fine, ma solo alla fine, l’idolo crolla e si rivela un’illusione, incapace di colmare il vuoto esistenziale.
L'opera vuole rappresentare attraverso la chiara analogia tra le due specie, la continua ricerca di falsi Dèi, ciò viene attuato riprendendo la figura della spirale della morte, il moto rotatorio del fenomeno da cui al centro si intravedere la nascita di un Idolo, che non ha definite sembianze perché esso non è l’Idolo di qualcuno, ma l’idolo di chiunque, ha qualunque sembianze che l’uomo ha la necessità di associargli.
Così dalla fittizia convinzione umana di credere ciecamente in qualcosa pur di non convivere con il vuoto incolmabile, o di essere egli stesso il suo punto di riferimento sceglie di morire spiritualmente di stenti come le formiche.
Marco Graziano

17. Indeciso
L’opera qui presentata prende vita dal riciclo di una sedia in legno e dalla ricerca di un suo possibile utilizzo.
L’indecisione creatasi nel momento in cui ho cercato un’idea per rivitalizzare l’elemento è stata la vera ispiratrice.
Come mie opere precedenti, ho fatto in modo che l’oggetto in questione si trasformasse in una creatura surreale ma al tempo stesso psicologicamente umana. Dalla seduta parte un corpo nero ingobbito che è la vera anima della sedia la cui forma ricorda una persona in posizione china mentre le gambe della sedia poggiano su due paia di stivali neri. Dare un senso alla sua anatomia risulta impossibile, la sedia funge da guscio protettivo di questo corpo oscuro meno solido similmente ad un mollusco. Il tratto che rende l’oggetto più umano è la sua riflessione interiore, l’aggiunta di due lampadine che alternano la loro illuminazione richiamano il modo di pensare degli esseri umani, la lampadina sul capo rappresenta la razionalità mentre quella nel ventre l’istinto. La creatura quindi è bloccata in una continua indecisione su quale luce accendere e quindi quale modo di pensare applicare, cercando di rispondere alla domanda “prendere le decisioni di pancia o di testa”.
Antonella Fusha

16. Radici
Dopo niente è più lo stesso.
La distanza distrae lo sguardo, disorienta le emozioni, traccia una linea sfumata e nebulosa tra passato e presente, tra ciò che sono in divenire…e ciò che sono stata…
Il mio passato è questo Qelesh, antico copricapo, che rappresenta simbolo e dedizione del popolo albanese alle sue più profonde radici ed è ciò che mi rimane del tacere insonne e poi sopito delle percezioni.. nel ricordo confuso di quegli anni.
Ridisegno su figure indistinte Il copricapo dei miei nonni, prendono corpo e densità tra le mie mani le cerimonie funebri e celebrative, occasioni di festa e di raccoglimento.intensa la partecipazione per qualcosa che nasce.per qualcosa che svanisce.
Fili della memoria che riannodo in modo un po’ confuso ma che hanno il potere di pacificarmi come il sonno dopo una veglia..
Non appago il mio desiderio di riscoperta delle mie radici ma rinasco, stringendole tra le mani e immergendole nel mio presente... il mio qui e ora... e ciò che non rinnego ma mi sfugge tra le dita è il mio modo di rappresentarmi nell’identitaria appartenenza, e il mio giorno che nasce con nuovi occhi e porta con sé il desiderio di nuove scoperte... e mi sopravanza. dopo…. niente è più lo stesso..