
3. GRANDE MOEBIUS
Le superfici ordinarie, ossia le superfici che nella vita quotidiana siamo abituati ad osservare, hanno sempre due facce, per cui è sempre possibile percorrerne idealmente una senza mai raggiungere l'altra, se non attraversando il bordo (o bucando la superficie stessa).
Per queste superfici è possibile stabilire convenzionalmente un lato "superiore" o "inferiore", oppure "interno" o "esterno". Nel caso del nastro di Möbius, invece, tale principio viene a mancare: esiste un solo lato e un solo bordo. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta.
Questa oggetto geometrico, nella sua semplicità, ci pone di fronte ad una complessità
cognitiva dalle conseguenze potenzialmente fruttuose.
Ci proietta verso un utopico ricongiungimento degli opposti, una concreta e materiale idea
di infinito, una resa all’impossibilità di comprenderlo fino in fondo.

4. OLTREUOMO
Il titolo è l’esplicita citazione del concetto nietzschiano di Übermensch: l’uomo che
diviene sé stesso accrescendo il proprio spirito personale.
Una mezza figura maschile in posizione eretta e meditativa. Sulla sua superficie corrono
le linee in tondino di ferro a definire tridimensionalmente un volume inesistente.
Le immagini dei disegni superficiali, come tatuaggi su un corpo, sono altrettante figure
umane o spermiformi, in un corto circuito simbolico ed evocativo tra l’uno e il
molteplice, l’essere in potenza e l’essere in atto, il pieno e il vuoto, un vuoto che può
essere attivamente colmato da chi guarda.
Biografia
Biografia
Classe 1976 vive e lavora tra Montefiascone (VT) e Fuscaldo (CS) dove è nato; nel 2004 si laurea al D.A.M.S. di Torino con una tesi dal titolo “Analisi del concetto di Nulla nell’opera di E. Munch e di A. Strindberg fra
il 1890 e il 1905”. Negli anni ha sperimentato diversi linguaggi e tecniche, realizzando video, installazioni e performance incentrati sui processi di simbolizzazione e fruizione dei concetti di vuoto, di utopia, di identità individuale e collettiva. La sua ricerca si è poi concentrata soprattutto sulla scultura (prevalentemente in fil di ferro) tesa alla sottrazione dei suoi stessi elementi costitutivi: il peso, la staticità e il volume. Essa ripropone oggetti vuoti, leggeri, mobili e attraversabili con lo sguardo, invitando chi osserva a colmare un volume solo suggerito e a mettere a fuoco una porzione illusoria di spazio fra sé e l’infinito. Ultimamente è stato impegnato come insegnante di Disegno e Storia dell’Arte; come educatore e curatore di mostre e laboratori d’arte e arte/terapia; come assistente del Maestro Paolo Buggiani; come attrezzista di preparazione per scenografie.
Curriculum Artistico
Carmine Leta, nel 2004 si laurea a Torino in D.A.M.S. discutendo una tesi dal titolo Analisi del concetto di Nulla nell’opera di E. Munch e di A. Strindberg fra il 1890 e il 1905 con la prof. Franca Varallo.
Tirocinante presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (con Mauro Biffaro
e con Emanuela De Cecco), e presso l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma. Ultimamente è stato impegnato come insegnante di Disegno e Storia dell’Arte; come educatore e curatore di mostre e laboratori d’arte e arte/terapia; come assistente del Maestro Paolo Buggiani; come attrezzista di preparazione per scenografie cinematografiche e teatrali. Negli anni ha sperimentato diversi linguaggi e tecniche, e realizzato video, installazioni, performance, incentrati sui processi di simbolizzazione e fruizione dei concetti di vuoto, di utopia, di identità individuale e collettiva. La sua ricerca si è poi concentrata soprattutto sulla scultura (prevalentemente in fil di ferro) tesa alla sottrazione dei suoi stessi elementi costitutivi: il peso, la staticità e il volume. Essa ripropone oggetti vuoti, leggeri, mobili e attraversabili con lo sguardo, invitando chi osserva a colmare un volume solo suggerito e a mettere a fuoco una porzione illusoria di spazio fra sé e l’infinito.